Cento anni fa, in estate, la prima guerra
mondiale volgeva verso il suo epilogo. È forse la ragione per cui ho sentito il
bisogno di rileggere alcuni libri che raccontano senza veli cosa fu e quale
trauma politico-militare e civile essa produsse nella società. Romanzi come Niente di nuovo sul fronte occidentale
di Remarque e un Anno sull’Altipiano
di Lussu conservano il loro crudo fascino e non smettono di farci riflettere
oltre a suscitare compassione verso coloro che furono protagonisti e insieme
vittime di una carneficina assurda. Inoltre, qualche giorno fa, mi è capitato di sentire
alla radio un brano di Enrico Ruggeri dal titolo Il volo su Vienna. Questa ballata evocativa fa parte dell’album Un viaggio incredibile, pubblicato nel
2016, e il cantautore rievoca un episodio della Grande Guerra che vide protagonista
Gabriele D’Annunzio. Mi hanno colpito queste parole: “E mentre in fondo il
mondo sta morendo una traiettoria ho disegnato già / ho due grandi ali per
volare / andare via accarezzando il cielo / andare su puntare dritti verso il
sole / scappare via per essere lontano / e toccare il paradiso con la mano”.
Pochi
conoscono i fatti relativi al Volo su Vienna – a scuola non si raccontano più
gli aneddoti storici – e mi è venuta voglia di intrattenere i miei venticinque
lettori rammentando quell’impresa bellica, avvenuta esattamente il 9 agosto
1918. Ordunque, dovete sapere che D’Annunzio, non nuovo a slanci creativi e di
intraprendenza, ideò un italian job
in linea con l’imprevedibile talento che distingue lo spirito nazionale. Si
cominciava a delineare l’esito del conflitto ed egli pensò di dare un colpo al
morale del nemico con un’operazione di propaganda talmente audace che se fosse
riuscita avrebbe dato lustro all’Italia e sconfortato gli austriaci. Così fu.
All’alba del 9 agosto, una formazione di undici aeroplani (Ansaldo S.V.A.)
dell’87ª squadriglia decollò dal campo di aviazione di San Pelagio (PD) con
l’obiettivo di raggiungere Vienna. Alla guida degli apparecchi c’erano alcuni
fra i migliori piloti dell’aeronautica italiana, fra cui Antonio Locatelli,
Girolamo Allegri detto “Fra Ginepro”, Aldo Finzi, Pietro Massoni, Ludovico
Censi e Natale Palli, che prese a bordo Gabriele D’Annunzio sull’unico biposto.
Sono nomi, a parte quello del Vate, che ai più non dicono nulla, ma appartengono
a uomini intrepidi, assi di guerra senza paura. L’inizio non fu confortante; si
verificarono delle avarie e due aerei dovettero atterrare appena partiti. Un
terzo, pilotato dal tenente Giuseppe Sarti, fu costretto per noie al motore ad
atterrare in territorio nemico. Sarti, sceso sul campo di Wiener Neustadt,
prima di essere catturato dagli austriaci ebbe la prontezza di incendiare il
suo velivolo. Lo stormo, ridotto a otto unità, proseguì il suo volo in
formazione a cuneo nei cieli austriaci, superando indenne ogni ostacolo
balistico e aereo, compresi alcuni forti temporali estivi, e raggiunse Vienna.
Il cielo era limpido e quando la popolazione si accorse della presenza degli
aeroplani italiani fu presa dal terrore. Le autorità militari erano state sorprese
dal raid aereo e temettero che la città avrebbe subito un bombardamento. Ma le
intenzioni di D’Annunzio e dei suoi erano di ben altra natura. Gli aerei si
abbassarono a una quota di 800 m. e da essi piovvero su Vienna oltre 50.000
volantini anziché bombe. Il volantino era stato scritto da D’Annunzio con lo
scopo di demoralizzare la popolazione e prepararla alla resa. Nonostante
D’Annunzio fosse un letterato di successo, il testo era oscuro e retorico,
difficile da tradurre in tedesco. Fortunatamente furono lanciati altri 350.000
volantini scritti da Ugo Ojetti il cui messaggio era molto più chiaro e
diretto. Esso recitava: “Viennesi, imparate a conoscere gli italiani. Noi
voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un
saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi italiani non facciamo la
guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro
governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele
governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d'odio e d'illusioni. Viennesi,
voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l'uniforme
prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s'è volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate?
La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria
decisiva è come il pane dell'Ucraina: si muore aspettandola. Popolo di Vienna,
pensa ai tuoi casi. Svegliati! Viva la libertà! Viva l’Italia! Viva l’Intesa!”.
Completata la missione, lo stormo prese la via del ritorno e fu così abile e
fortunato da schivare i colpi della contraerea. Non c’erano state perdite e
prima di atterrare a San Pelagio, D’Annunzio lanciò su Venezia un messaggio
augurale comunicando l’esito favorevole dell’impresa. In effetti si trattò di
un’impresa, tanto più grande perché inoffensiva e promozionale. D’Annunzio era
un precursore della propaganda, ne conosceva il valore, e la sua “incursione
inerme”, come fu definita, suscitò un enorme scalpore e una vasta eco morale e
psicologica. La stampa austriaca riconobbe il valore del gesto e di chi l’aveva
organizzato e guidato e criticò aspramente gli Asburgo. Lo stesso D’Annunzio inviò
alla Gazzetta del Popolo di Torino un
telegramma in cui affermava: “Non ho mai sentito tanto profondo l’orgoglio di
essere italiano”.
Sapete perché vi ho raccontato questo episodio della Grande
Guerra? Prima di tutto, perché è avvenuto oggi, un secolo fa. Poi perché mi
piace estrarre dall’album degli orrori di quella immane tragedia un momento di
nobiltà e poesia. Come canta Ruggeri, gli eroi di Vienna seppero “toccare il
paradiso con la mano” in un momento in cui l’Europa era un inferno. Infine,
perché ci dimentichiamo troppo facilmente di quanto, noi italiani, siamo capaci
di iniziative e imprese che altri nemmeno riescono a immaginare. E di come,
purtroppo, si tenda per vizio nazionale a ridimensionare il nostro talento per
un senso di pudore o di colpa che non ha spiegazioni razionali. Noi siamo
quelli che in tempo di guerra volarono sulla capitale del nemico ma non
lanciarono fuoco ma fiori. Non dimentichiamolo. Noi siamo quelli dati per
spacciati tante volte ma che hanno la capacità di stupire il mondo intero per
la forza delle idee e il coraggio. Si chiama orgoglio il carburante di cui
abbiamo bisogno per tornare a volare.
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