Non era facile fare peggio della classe politica della Prima
Repubblica, che fu travolta da Tangentopoli dopo anni e anni di ruberie. Era
quasi impossibile che i politicastri della Seconda Repubblica ci facessero
rimpiangere i loro predecessori, maestri nel ricavare benefici privati dalla res publica. Eppure, ci sono riusciti. I
nuovi furfanti hanno battuto il record precedente, spudoratamente, entrando di diritto nel
Guinness dei primati. Non se ne salva nessuno, la ruberia è trasversale e
congenita nella partitocrazia, e i miseri fatti degli ultimi tempi gridano più
forte della parole.
Siamo frastornati, ma non dai rumors. Si tratta piuttosto
di continui e devastanti terremoti. La politica è da sempre zona sismica in
Italia ma negli ultimi tempi le scosse sono state troppe. Gli scandali del PD,
da Penati a Bassolino. La gestione alla “Cicero pro domo sua” della politica da
parte di Berlusconi e dei suoi accoliti. La querelle relativa alla casa di Fini
a Montecarlo. La buriana che ha coinvolto la famiglia Bossi e la Lega Nord. Il
caso del senatore Lusi, che ha sottratto 25 milioni di euro dai rimborsi
elettorali della Margherita, di cui era tesoriere, e che oggi è agli arresti
domiciliari in un convento in Abruzzo. Lo scandalo della sanità in Lombardia,
dove Highlander Formigoni è indagato per corruzione a causa del sistematico versamento
di tangenti del Pirellone. E ultimo, ma non ultimo, lo scandalo dei fondi PDL della
regione Lazio, la cui giunta è stata travolta da una valanga di immondizia e
che in queste ore ci diletta con l’amletico dubbio di Renata Polverini: “Mi
dimetto o non mi dimetto?”. Ho citato solo alcuni casi eclatanti, ma si tratta
ovviamente della punta dell’iceberg. Chissà cosa c’è nella parte sommersa che
ancora deve salire in superficie. È uno schifo e ogni commento appare inadeguato. Non ci
sono parole idonee a stigmatizzare la politica del malaffare e i suoi miserabili
protagonisti. Gli italiani non ne possono più di un sistema politico fondato
sulle razzie e le lobbies di potere, e avvertono un profondo disgusto per la
sciagurata casta che ha fatto dello spreco, della corruzione e dell’arroganza
la propria regola di vita. È sotto gli occhi di tutti lo sfacelo materiale e morale a cui
ci hanno portato i lestofanti della politica a qualsivoglia livello, che si
ispirano ad Attila e scorrazzano come orde di unni sulle macerie dell’Italia. Sicché
gli occhi si inumidiscono. Povera Italia, di dolore ostello!
Oggi, colto da un
raptus d’ira, ho deciso di scrivere una lettera aperta ai predatori del Paese
perduto. Non leggeranno le mie parole, non conosceranno la mia rabbia, ma poca
importa. Il solo fatto di sfogare l’indignazione mi farà stare meglio. Ho
infatti bisogno di placare l’animo, incandescente come lava. E mi conforta
sapere che almeno la metà dei miei quattro lettori approverà l’invettiva che mi
appresto a scagliare. Eccola, dunque…
Aprite bene le orecchie, infami proci
della nuova Itaca. Non voglio che fingiate di non avere inteso le mie parole. Come
sono lontani i tempi in cui l’ingenuo Totò esclamava: “A proposito di politica,
non si potrebbe mangiare qualchecosarellina?”. Voi, ignobili furfanti che siete
entrati in politica solo perché la politica è la corsia preferenziale per
acquisire potere e ricchezze senza merito, mentre dovrebbe essere un modo
nobile per servire la patria, voi non avete avuto il buon gusto di “mangiare
qualchecosarellina”. Voi e il vostro seguito, la vostra corte dei miracoli, avete
depredato la dispensa, vi siete abbuffati come maiali nel trologo, fagocitando
le risorse della nazione con la golosità di Ciacco, la volgarità di
Trimalcione, l’ingordigia di Gargantua e Pantagruel. Siete una razza vile e
bulimica, cavallette fameliche, tenie irriducibili. Ma non avete un briciolo di
vergogna? Avete imbavagliato la vostra coscienza per non sentirne la voce o
l’avete forse murata viva? Nonostante l’Italia sia in crisi, estenuata da tante
difficoltà e soverchiata da una pressione fiscale inaudita e iniqua, voi continuate
imperterriti a scialare e a divorare le residue risorse della nazione che avete
costretto a una dieta così dimagrante che anche le mutande cadono, mostrando le
nude chiappe. Con vostra somma letizia, sia chiaro, giacché vi piace prendere
per il deretano i tapini che si sono fatti abbindolare dai vostri pifferi
magici al punto di eleggervi rappresentanti del popolo. Lasciatevi dire che
siete dei luridi scarafaggi e che in confronto a voi il povero Gregor Samsa de La Metamorfosi di Kafka fa tenerezza. Siete
l’antitesi di Robin Hood: rubate ai poveri per dare ai ricchi, alla cui
categoria appartenete. Siete una manica spudorata di parassiti, traditori,
ciarlatani, voltagabbana, speculatori, approfittatori. Sappiate che ne abbiamo
le tasche piene delle vostre malefatte: appropriazioni indebite, truffe,
peculato, sprechi, abusi di potere, associazione a delinquere e quant’altro. Il
vaso è veramente colmo. Ci fate schifo quando sorridete compiaciuti della
vostra posizione sociale, del vostro potere che esercitate come se foste i
mandarini dell’impero dei Ming, i satrapi di Persia. Ci fate ribollire il
sangue quando vi vediamo sfrecciare sulle vostre auto blu per andare a vedere
la partita o fare shopping. Ci fate prudere le mani quando giustificate i
vostri misfatti col candore di un camaleonte. Credete di essere i più furbi, di
godere di un’immunità indiscussa, di poter fare quello che volete in barba ai
giusti che ancora credono nei valori della democrazia. Vi arrogate il diritto
di ridere di noi, di umiliarci e impoverirci in nome del principio che Homo homini lupus e naturalmente voi
siete il lupo Alfa mentre noi siamo solo pecore, agnelli sacrificali. Vi
illudete che corrompere ed essere corrotti sia il modo migliore per affermare
il vostro misero ego, che sia giusto rubare perché viviamo in un mondo di
ladri. Così fan tutti – direbbe Mozart. Beh,
forse avete ragione. I veri furfanti siamo noi, i poveri allocchi che reclamano
giustizia e pagano le tasse. Siamo furfanti perché vi alitiamo sul collo, auspichiamo l’abolizione dei vostri privilegi e pretendiamo che smettiate di fare i vostri porci comodi. Come osiamo chiedervi di
dimettervi quando vi pescano con le mani sul sacco della refurtiva? Che sciocco che sono, la poltrona alla camera dei deputati, lo scranno al senato o il cadreghino nella giunta regionale non sono il risultato
di un’elezione popolare. Quella carica è Dio che ve l’ha data e guai a chi ve
la toglie. Come ci permettiamo dunque di
chiedervi di esercitare il vostro ruolo con sobrietà e serietà, di tagliare le
spese superflue e gli stipendi faraonici, di restituire il maltolto, di
allinearvi ai sacrifici e agli sforzi stoici che il popolo italiano fa ogni
giorno per restare a galla? Ah già, sono gli stronzi che galleggiano, voi
invece solcate il mare sui vostri panfili battenti bandiera panamense e sui
motoscafi che ormeggiano nelle aree marine protette. Voi siete il meglio, la
punta di diamante della teoria dell’evoluzione. Dalla scimmia al pappone. E va
bene così, è solo colpa nostra. Vi abbiamo dato fiducia e continueremo a darvi
fiducia perché siamo masochisti, autolesionisti, decerebrati. Senza contare che
molti di noi, in fondo, vi invidiano. Vorrebbero essere al vostro posto per
rubare e ingrassare, per godere di privilegi assurdi e odiosi.
Io no. Io non vorrei
essere come voi. Voglio essere in pace con la mia coscienza. Quando mi hanno
chiesto di entrare in politica e aderire alla società dei magnaccioni, ho rifiutato.
Ne vado fiero. Ho saputo mantenere la mia libertà, la mia dignità, la mia
integrità. Posso guardarvi negli occhi e non abbassare lo sguardo. Voi potete
farlo?
A voi, piccoli uomini della politica italiota che vi credete grandi, mentre siete solo pulci, desidero
fare i migliori auguri. Mi ricordate Paterclio. Non sapete chi è? Era un
gestore di vespasiani dell’antica Roma su cui ironizzò il poeta Marziale nei
suoi Epigrammi (XII, 77). Vi auguro
di rinascere in condizioni così umili e svantaggiose da considerare una fortuna
pulire i cessi negli autogrill. Ma voi siete anche come Sisifo. Ignorate chi è?
È un
personaggio della mitologia greca che ingannò non solo Autolico ma la stessa Thanatos (la morte) e gli dei. Alla
fine, però, Sisifo pagò i suoi affronti e fu condannato per l’eternità a
espiare una vita di imbrogli spingendo su un’altura un macigno che quando
arrivava in cima rotolava in basso. Sisifo è forse il fondatore del moto
perpetuo. Vi auguro con tutto il cuore di emularlo, di provare la fatica frustrante,
l’impotenza, la disperazione. Sempre nella prossima vita, sia chiaro, perché in
questa, al massimo, se siete sfortunati, rischiate di uscire di scena alla
chetichella e godervi una lauta pensione, magari ai Caraibi. Forse
penserete che sono acido e che vi odio. Ma cosa vi viene in mente? Io nutro per
voi, immarcescibili furfanti votati alla politica del ladrocinio, un
sentimento che mi accomuna a milioni di italiani che se potessero vi darebbero
una sporta di sacrosante legnate. Si chiama disprezzo. Ma visto che la forma più sublime del
disprezzo è il perdono, io vi perdono. Oggi sono incredibilmente generoso e vi assolvo, ma a
una semplice, imprescindibile condizione.
Andate in pace, purché andiate all’inferno!
PS: non è una antica
leggenda che esistano in Italia uomini politici onesti, non corrotti, capaci.
Naturalmente si tratta di mosche bianche. A loro, vorrei ricordare che devono
avere il coraggio non solo di prendere le debite distanze dai malfattori ma di
denunciarli. E vorrei anche ricordare che nessun uomo deve identificarsi in un
partito al punto di seguirne le direttive truffaldine. Un uomo appartiene a se stesso
e deve rimanere fedele solo ai suoi valori.
BRAVO!
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