Sono contro la
caccia e vorrei che fosse abolita. Sarebbe un grande segno di civiltà e
progresso. Mi rendo conto che il mio punto di vista non può essere condiviso
dai cacciatori ma lor signori dovrebbero rendersi conto che la caccia non è uno
sport. In uno sport entrambi gli avversari sanno di giocare e lo fanno in
condizioni paritarie. La caccia, invece, è il contrario di una sfida
paritetica: la vittima è inerme mentre il carnefice è armato. Credo che
“sarebbe uno sport più interessante se anche gli animali avessero il fucile”,
come disse Groucho Marx, le cui battute erano fulminanti come una carabina. La verità
è che la caccia è un vile sopruso, un abominio e un crimine contro la vita. Quando
la si giustifica affermando che è nata con l’uomo e non morirà se non con
l’uomo, mi sorge il dubbio che la parola evoluzione non abbia alcun senso per i
cacciatori. Anche la schiavitù e la violenza sessuale sono nate con l’uomo
delle caverne ma solo un deficiente può legittimarle. La caccia era logica
quando l’Homo sapiens non conosceva altri mezzi di sostentamento se non la
carne e il pesce. Ancora oggi è giustificabile dove non esistono risorse
alimentari alternative. Ma da quando l’essere umano ha scoperto l’agricoltura e
gli alimenti alternativi, la caccia (ma anche l’allevamento intensivo dei capi
di bestiame) è solo un atto di prevaricazione condita di crudeltà del più forte
sul più debole. Di più, è un gesto di odio verso la natura e il creato.
Il
grande scrittore russo Tolstoj ha scritto un libro dal titolo Contro la caccia e il mangiar carne che
andrebbe letto per aprire gli occhi. In esso, la caccia è definita “un atto
inumano e sanguinario, degno solamente di selvaggi e uomini che conducono una
vita senza coscienza, che non si armonizza con la civiltà e col grado di
sviluppo a cui noi ci crediamo arrivati”. Queste parole furono scritte nel
1895, quando lo sviluppo del genere umano non era paragonabile all’attuale.
Dobbiamo forse dedurre che in realtà non c’è stato alcuno sviluppo? In effetti,
non siamo “arrivati” da nessuna parte se continuiamo ad uccidere gli animali
per puro divertimento oltre che per nutrirci dei loro cadaveri. La nostra
consapevolezza non è cresciuta, la nostra coscienza fatica ad aprirsi verso le
grandi verità, la più alta delle quali è che siamo tutti (uomini e animali)
frammenti di Dio. Tolstoj scrive anche che “la caccia era un’occupazione
naturale per l’uomo primitivo, mentre questa occupazione nell’uomo moderno
civilizzato non fa che esercitare e sviluppare in lui istinti bestiali”.
Concordo,
naturalmente. La caccia – come la corrida, la mattanza, i combattimenti
organizzati fra animali in cattività e altri momenti ludici in cui l’uomo
diventa la bestia trionfante sulla bestia innocente – è un retaggio vergognoso
di ciò che eravamo un tempo, fiere assetate di sangue e affamate di violenza.
Lo siamo ancora? Forse, anche se, fortunatamente, i cacciatori stanno
diminuendo progressivamente, quanto meno in Italia. E questa, lasciatemelo
dire, è un’ottima notizia. Nel nostro Paese, erano 1.701.853 nel 1980 (il 3%
della popolazione) e sono scesi a 751.876 nel 2007 (con un calo netto del
55,8%). La tendenza al ribasso è irreversibile. Perché i cacciatori praticanti
sono in forte calo? Le ragioni sono molte. La caccia ha perso il suo appeal, non attrae le nuove generazioni.
Molti giovani sono attenti alle tematiche ambientaliste e animaliste, il che
rende inaccettabile per loro andare a caccia. Oltre tutto, attualmente la
maggior parte dei cacciatori ha un’età compresa tra il 65 e i 78 anni e dispera
perché non c’è ricambio. Meno male! La caccia è una pratica odiosa in via di
estinzione. Da tempo, l’opinione pubblica è contro la caccia, vorrebbe abolirla
o quanto meno penalizzarla con ulteriori restrizioni. Inoltre, la selvaggina è
in forte diminuzione. Immagino che fra trent’anni l’ars venatoria (arte?) non sarà più praticata, ma potrei sbagliarmi.
Potrebbe accadere prima.
Ora, a sentire le ragioni di un cacciatore c’è da
stupirsi. Afferma con candore e totale indifferenza alla sofferenza degli
animali, che la caccia è necessaria per l’equilibrio ambientale, giacché regola
la consistenza numerica delle specie animali erbivore (soprattutto gli
ungulati) e limita lo sviluppo di specie molto prolifiche e pericolose come il
cinghiale. Queste argomentazioni non tengono in alcuno conto che ogni anno,
solo in Italia, vengono massacrati almeno 17 milioni di volatili, fra cui uccellini
come i pettirosso, i tordi, le allodole, i fringuelli, gli scriccioli, i
passeri, che notoriamente sono animali pericolosissimi. Né tiene in conto che i
cacciatori odierni non sono diversi dagli ominidi, salvo che per l’uso di
differenti strumenti di caccia. Difatti, si comportano secondo la legge del più
forte, godendo di privilegi e di una immunità che nessuno ha concesso loro. Il
cacciatore, essendo armato, per sua natura si crede forte e al di sopra delle
leggi, atto a prevaricare i diritti altrui. Non diversamente si spiega il fatto
che le leggi e le regole dello Stato vengano disattese da molti, troppi
cacciatori, oltre che dai bracconieri. La legge impedisce infatti ai cacciatori
di sparare verso case e strade a una distanza inferiore ai 150 m., di
transitare con l’auto o parcheggiare fuori dalla sede stradale, di transitare
nelle aree boschive percorse dal fuoco, entrare con l’auto in comprensori o
strade private, di arrecare minaccia diretta o indiretta alla sicurezza delle
persone, di cacciare di notte, di detenere e usare reti da uccellagione e/o
uccisione di fauna selvatica. Certo, un cacciatore rispettoso delle leggi non
fa nulla di tutto ciò. Ma quanti sono i cacciatori che rispettano queste
regole? Qualcuno penserà che voglio demonizzare chi va a caccia. No, ci sono
brave persone che amano cacciare. Il problema è un altro: queste persone non
sono consapevoli dei danni che producono per assecondare la loro passione. Non
sanno o fingono di non sapere ad esempio che la caccia è la causa principale di
estinzione di molte specie animali, come la starna, la quaglia, la pernice, la
coturnice, il gallo cedrone e le lepre, e che il ripopolamento a scopo venatorio
inquina gravemente la genetica delle specie italiane. Chissà se ignorano che si
spara con frenesia a tutto ciò che si muove (e spesso ne fa le spese lo stesso
cacciatore, impallinato per sbaglio), fra cui i rapaci, le cicogne, i cani e i
gatti? E si rendono conto che la caccia inquina e deturpa l’ambiente? Ogni
anno, quintali di piombo si depositano negli stagni e nei laghi provocando il
saturnismo, cioè l’avvelenamento del ciclo biologico.
Fin qui, ho parlato degli
effetti negativi di natura materiale. Ma esiste un’altra, ancor più grave
ripercussione di natura etico-spirituale insita nella caccia, che è utile
ricordarlo è un assassinio legalizzato. Quale? Lo spiego con una storiella. Un
cacciatore muore e va in cielo. Dio, per punirlo dei delitti venatori, lo
rimanda sulla terra con le sembianze di una lepre. Un giorno, si ritrova
davanti a un cacciatore che sta per impallinarlo: «Non mi spari, la scongiuro!
So che lei non mi crederà, ma io, una volta, non ero una lepre ma un cacciatore
come lei!» Il cacciatore lo guarda e, puntandogli la canna del fucile tra gli
occhi, dice: «No, guardi che le credo, per davvero! Il problema è che io,
prima, ero una lepre».
La morale è semplice. Uccidere un animale per diletto o
per cibarsene genera un cattivo karma. Togliere la vita senza averne la
necessità a una creatura innocente e indifesa significa creare vibrazioni
energetiche negative che torneranno indietro come un boomerang secondo la legge
di causa-effetto. Provocare la sofferenza e la morte non è solo un
atto crudele ma un gesto sconsiderato che si ripercuote nell’intero universo e genera
infelicità. Chi ama andare a caccia non ha ancora una coscienza cosmica e
perciò non riesce a capire che non c’è passione o piacere che possa
giustificare l’uccisione di una creatura vivente. Crede di amare la natura
perché va nei boschi, intanto la oltraggia. Non è in grado di comprendere che
non c’è differenza fra assassinare un essere umano e un animale. È per
l’appunto una questione di coscienza, e quindi di consapevolezza. O la possiedi
o continui a osservare il mondo da una specola deformante. Uccidere è sempre e
comunque un esercizio ignobile che nega la vita ed esalta la morte.
Per questa
ragione non posso esimermi dall’esprimere il mio biasimo verso le associazioni
venatorie che cercano di edulcorare la realtà diffondendo slogan del tipo “la
caccia, se la conosci, la rispetti”. Come si può rispettare la cultura della
morte? Mi piacerebbe che gli oltranzisti della doppietta riflettessero
piuttosto sul fatto che “la vita, se la conosci, la rispetti”. Va da sé che mi
riferisco alla vita di ogni essere vivente.
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