La chiamano ludopatia. È il
termine gentile, quasi rassicurante, inventato dall’industria del gioco per
edulcorare un fenomeno che sta distruggendo un tessuto sociale già lacerato dalla crisi economica. Indica il gioco
d’azzardo patologico, cioè l’incapacità di resistere all’impulso di giocare
d’azzardo o fare scommesse. L’OMS e le altre organizzazioni sanitarie che si occupano
del fenomeno preferiscono utilizzare l’acronimo GAP (Gioco d’Azzardo
Patologico) e rimarcano che questa patologia non ha nulla a che vedere con il ludus (il divertimento). I suoi effetti
collaterali sono devastanti. Parafrasando Malraux, si può affermare che “il
gioco è un suicidio senza morte”.
Nel nostro Paese il gioco d’azzardo ha assunto
volumi e contorni da brivido, tale da generare una folta schiera di morti
viventi. Li si vede uscire dai bar e dalle sale gioco con gli occhi bassi e le
spalle curve. Non è un semplice disturbo comportamentale ma un male che induce
ad azioni ossessive compulsive. Fa concorrenza alla depressione e alla
tossicodipendenza, distruggendo centinaia di migliaia di vite umane. Gli
italiani sembrano stregati, anzi drogati di gioco e fanno debiti, si rovinano e
distruggono la famiglia pur di non rinunciarvi. Nel 2012, abbiamo conquistato
il secondo posto nella classifica mondiale e il primo in Europa con un volume
d’affari che ha sfiorato i 100 miliardi di euro. Non c’è da vantarsi, anzi! Si
tratta di un affare colossale, di fatto l’industria del gioco è per numero di
addetti (120.000) la terza impresa italiana dopo Eni e Fiat. Stiamo assistendo impotenti
alla sua crescita esponenziale fondata su varie realtà, dal videopoker
alle scommesse, dalle slot machines ai Gratta e Vinci, dal Superenalotto ai Casino
on line, ecc. I dati sono inquietanti; la spesa annuale pro capite degli
italiani per il gioco d’azzardo sfiora i 2.000 euro. Ciò, sebbene i
ludopatici siano “solo” 3 milioni (erano 700.000 nel 2007) su una popolazione
che sfiora i 61 milioni. Sarebbe un errore pensare che la febbre del gioco
colpisca solo gli adulti. In realtà, il boom coinvolge anche gli adolescenti. Nel
2012 ha interessato 1 milione di giovani e si calcola che gli studenti a
rischio siano 170.000. Lo scenario è preoccupante e non si capisce bene chi o
cosa potrà arginare un fenomeno sempre più rovinoso. Giocano
tutti, dal disoccupato alla vecchietta. La febbre è contagiosa e colpisce soprattutto le fasce più vulnerabili.
Assistiamo a uno psicodramma, anzi alla
solita sceneggiata all’italiana all’insegna dell’ipocrisia. Da una parte, ci sono
i medici, le associazioni e i media che lanciano l’allarme, dall’altra sghignazzano
e ingrassano come porci i soggetti interessati al lucro e quindi a sostenere il
degrado. La ludopatia è sostenuta dalla lobby dell’azzardo e dai
concessionari-gestori privati ma ha almeno due potenti patrocinatori, due alleati
di ferro che non hanno nessuna intenzione di uccidere la gallina dalle uova
d’oro. Il primo è lo Stato, il miserabile biscazziere sulla cui coscienza pesa
la rovina finanziaria e sanitaria di moltissimi cittadini. Il paradosso
vergognoso è che lo Stato italiano rivendica il monopolio della legalità ma
incredibilmente legalizza e incentiva le attività criminogene che ne derivano.
D’altra parte, non è forse lo Stato a imporre la scritta “il fumo uccide” sui
pacchetti di sigarette e intanto fabbrica sigarette? Lo Stato ha interesse a
vedere crescere il numero dei ludopatici anche se è costretto a spendere ogni
anno una cifra che ormai si avvicina ai 7 miliardi per fare fronte ai costi
sociali e sanitari che il GAP comporta per la collettività. Un altro paradosso
è che sebbene l’Erario incassi una cifra superiore ai suddetti costi, tale
cifra sta diminuendo in modo inversamente proporzionale all’incremento del giro
d’affari. Difatti, in percentuale lo Stato sta incassando di meno da giochi e
lotterie. Il gettito erariale proveniente dal gioco d’azzardo è sceso dall’8,2%
del 2011 al 7,3% del 2012. Era il 29,4% nel 2004. A cosa si deve questa
controtendenza erariale? Principalmente al fatto che i giochi introdotti negli
ultimi anni hanno una tassazione inferiore ai precedenti, e ciò a vantaggio del
pay out per i giocatori e
dell’industria del gioco. Ad esempio, lo Stato ricava il 44,7% dai proventi del
Superenalotto ma solo lo 0,6% dagli emergenti Poker cash e Casinò on line. Nonostante
ciò, lo Stato, il cui comportamento è immorale, punta su una liberalizzazione e
diffusione sempre maggiore del gioco d’azzardo per fare fronte ai bisogni di
cassa. Presto, con la benedizione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, apriranno le sale da poker, un’esigenza primaria per un Paese in
grave crisi economica e sociale.
La
ludopatia è un business irrinunciabile soprattutto per il suo secondo alleato,
la mafia, che regge le fila dell’industria del gioco e ingrassa non solo in virtù dei
suoi proventi, che controlla, ma anche con l’indotto (a cominciare dall’usura,
giacché il giocatore non rinuncia a giocare e chiede soldi agli strozzini per
continuare a farlo). Le infiltrazioni della delinquenza organizzata sono
radicali e quello dei giochi è diventato un settore di punta nel business delle
cosche (ne sono coinvolte almeno 49), da cui ricavano oltre 15 miliardi annui.
Insomma, mentre la povera gente si rovina, i Casalesi, i Mallardo, i
Santapaola, i Condello, i Mancuso e gli Schiavone – tanto per citare i clan più
noti – accrescono la loro fortuna. In questo secondo caso è fuori luogo parlare
di immoralità. Speculare sui “consumi ricreativi” (che bell’eufemismo!) o vizio
che dir si voglia, è un’attività perfettamente coerente con la vocazione di chi
opera nel campo della delinquenza. In fondo – ma non mi si fraintenda, non
giustifico i mafiosi – le organizzazioni
criminali non fanno altro che approfittare della debolezza dello Stato, della
paura dei gestori dei locali adibiti al gioco e soprattutto della stupidità dei
giocatori. Personalmente, non avendo mai acquistato in vita mia un Gratta e
Vinci, faccio fatica a capire le ragioni dei poveri di spirito che allettati
dalla pubblicità invocano la fortuna e dei “poveri e malcapitati” scommettitori
che non possono fare a meno di illudersi. Li compatisco, punto a capo. E
ripenso a una frase dello scrittore Mario Puzo, autore del famoso Il Padrino: “Scommettere non è così
distruttivo come la guerra e non è così noioso come la pornografia. Non è
immorale come gli affari o suicida come guardare la televisione. E le
percentuali sono migliori di quelle della televisione”. Traspare come una forzata
giustificazione delle scommesse e per estensione del gioco d’azzardo in queste
parole, che ovviamente non condivido. Piuttosto, se penso al gioco d’azzardo mi
viene in mente Dostoevskij, un ludopatico hors
catégorie. La sua vita fu rovinata dal gioco e nel libro Il giocatore, forse la sua autobiografia
ideale, si lasciò andare a una confessione amara. “C’è una voluttà nell’estremo
grado dell’umiliazione e dell’avvilimento”. L’umiliazione e l’avvilimento sono
lo sconfortante budello in cui vanno a finire quasi tutti i giocatori ingannati
dal miraggio della vincita. A che pro? C’è veramente un senso di voluttà nel
rovinarsi la vita? Non so rispondere, non ho alcuna esperienza in materia. Ma so che a corteggiare scioccamente la fortuna si fa solo il gioco dello Stato biscazziere e della mafia.
Mi
sento altresì di affermare che se la ludopatia dilaga come un fiume in piena è perché le canaglie la
incoraggiano e sostengono. Ci sta che un malavitoso non abbia scrupoli, però non
accetto proprio l’idea che lo Stato si comporti canagliescamente.
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