Una convenzione storica stabilisce che nel 1518
arrivarono in Europa i primi semi di Nicotiana
tabacum. Pare che furono inviati in Spagna dal capitano Fernando Cortez su
richiesta del monaco catalano Ramon Pane, che aveva preso parte al secondo
viaggio di Colombo in America. Altre fonti, però, attribuiscono il merito a
Gonzalo Hernandez de Oviedo y Valdés, governatore dell’isola di Santo Domingo e
autore della Historia
general y natural de las Indias, in cui descrive l’uso del tabacco presso gli
indigeni. Quest’anno, dunque, cade il 5° centenario della scoperta del tabacco,
al quale, in verità, occorse qualche lustro per diventare popolare. Fu
conosciuto e apprezzato veramente dopo il 1560, quando l’ambasciatore di
Francia in Portogallo, Jean Nicot duca di Villemain, inviò foglie e semi alla
corte francese per curare l’emicrania che affliggeva Caterina de’ Medici. La
cura, che Nicot presentò come “il miracolo del Mondo Nuovo”, ebbe successo; il
tabacco diventò famoso come Herba Reginae
e la nicotina prese il suo nome dal solerte ambasciatore. I vari personaggi di
cui ho fatto il nome non potevano immaginare quanta fortuna avrebbe avuto il
tabacco né quale iattura sarebbe stata la sua diffusione capillare.
In realtà, credo che
a cinquecento anni dall’inizio della storia del tabagismo ci sia poco da
festeggiare. Il tabacco, infatti, è la peggiore calamità della storia. Non si
scaldino i fumatori incalliti, i tabaccai e i produttori di sigarette e sigari.
È una verità triste e inoppugnabile, che la coscienza contemporanea ha
finalmente riconosciuto. Il fumo fa male, anzi uccide. Non è solo uno slogan ma
un fatto confermato dall’Istituto Superiore della Sanità. Si è calcolato che
nel XX secolo il fumo abbia ucciso oltre 100 milioni di persone, più di quanto
non siano riuscite a fare due guerre mondiali e le grandi rivoluzioni del
Novecento. Secondo l’OMS, attualmente il fumo uccide ogni anno 6 milioni di persone
(di cui 700.000 in Europa), causando più decessi di alcol, Aids, droghe, incidenti
stradali, omicidi e suicidi messi insieme. D’altra parte, non è forse vero che
Bacco, Tabacco e Venere riducono l’uomo in cenere? Una cosa è certa – a
dispetto delle campagne di sensibilizzazione, efficaci solo nei paesi più
evoluti – i fumatori aumentano anziché decrescere. Le previsioni dicono che i
decessi causati dal fumo saranno 8 milioni nel 2030. Eppure ci fu un tempo in
cui il tabacco esercitava un fascino incredibile e nessuno poteva immaginare
che facesse male alla salute. Moliere diceva che “niente è uguale al tabacco; è
la passione della gente a modo e chi vive senza tabacco non è degno di vivere”.
Ai suoi tempi un gentiluomo non poteva fare a meno di ricorrere al tabacco e anche
le dame lo sniffavano volentieri, tant’è che le tabacchiere (o snuff-box), nate
in Francia nel Seicento, erano uno degli indizi probanti del ceto sociale. Venivano
fatte coi materiali più raffinati e preservavano l’aroma del tabacco. Nell’Ottocento
e nel Novecento, il tabacco ha goduto di un’alea quasi leggendaria. Merito (o
colpa) delle arti, che hanno esaltato le volute azzurrognole del fumo, compagno
dei momenti creativi e di riflessione, a volte di solitudine ma anche di gioia
e riposo. Basti pensate alla pipa, che il poeta Mallarmé definiva “da uomo
serio, che vuole fumare senza distrazioni, per lavorare meglio”. In effetti, è
difficile immaginare Sherlock Holmes e il commissario Maigret senza pipa. Anche
il sigaro ha il suo fascino e i suoi estimatori. Non potevano fare a meno di stringerlo fra le labbra Giuseppe
Verdi, Giacomo Puccini, Arturo Toscanini e Giuseppe Garibaldi. Per tacere di
Winston Churchill. Ma indubbiamente è la sigaretta (nata ufficialmente nel
1885) l’icona planetaria del tabagismo. Fino a poco tempo fa e in misura minore
ancora oggi, fumare sigarette non era solo un vizio ma un vezzo pregevole,
certamente un bisogno sociale, un modo per sentirsi integrati, in linea con la
moda e i tempi. Si fumava ovunque, incessantemente, senza alcun rispetto per i
bambini, le donne gravide e i non fumatori. Le donne in particolare, fumavano
per emanciparsi, per darsi un tono. Fino al 1924, le sigarette furono
addirittura vendute senza filtro. Solo a partire dagli anni Cinquanta sorsero i
dubbi sui rischi e i danni del fumo ai polmoni. Quanto ci è voluto per capire
che il tabacco provoca “stragi tra l’umanità”, come ebbe modo di dire il
Mahatma Gandhi?
Fortunatamente, sono lontani i tempi in cui il cinema proponeva
uomini e donne il cui fascino era enfatizzato dalla sigaretta in bocca e Wayne
MacLaren – cappello bianco da cowboy in testa e redini di cavallo in mano –
ammiccava dai poster pubblicitari. Ve lo ricordate? Era l’ammaliante
testimonial della Marlboro, emblema per tre lustri della Philip Morris. Non
tutti sanno che morì di tumore ai polmoni nel 1992 e che le sue ultime parole
in pubblico, rivolte ai suoi ex datori di lavoro, furono “dovete ridurre la
pubblicità delle sigarette, il tabacco uccide e io ne sono la prova più
eclatante”. Molte cose sono cambiate negli ultimi decenni e su tutte la
consapevolezza umana. Eppure, benché il fumo sia letale, le multinazionali del
tabacco prosperano. Chi non conosce il film Thanking
you for smoking del 2005 dovrebbe vederlo. È una commedia amara, che ha
come protagonista Nick Naylor, un lobbista che si batte in difesa del fumo e
dei produttori di sigarette. C’è una frase di Nick emblematica “Se ce la fai
con il tabacco ce la farai in tutto”. La sua tenacia nel difendere il mito del
fumatore superuomo è insieme eroica e patetica. Riflette la stupidità di chi
non rinuncia a fumare nemmeno quando il medico gli diagnostica il cancro ai
polmoni. E così, alla stregua di Nick, capace di confessare “mi guadagno da
vivere rappresentando un’organizzazione che uccide milleduecento esseri umani
al giorno, milleduecento persone… due jumbo stracarichi di uomini, donne e
bambini. Praticamente c’è Attila, Gengis Khan e io, Nick Naylor”, il fumatore
postmoderno, quello che se frega di tutto e di tutti e non può fare a meno di
smettere, negherebbe a oltranza che il tabacco è la peggiore calamità della
storia e che “si deve pur morire di qualcosa, perciò meglio morire con la
sigaretta in bocca”.
Mi astengo dal giudizio. Anche perché non ho la competenza
né l’esperienza per farlo. Non ho mai fumato, di più non ho mai provato ad
accendere una sigaretta. Anche quando, da ragazzo, quasi tutti i miei coetanei fumavano
e mi compativano perché non emulavo il gregge, apostrofandomi “mezzasega”
perché il fumo mi dava fastidio. Ma io facevo spallucce e rispondevo che chi
fuma non è un gallo ma un pollo.
Nessun commento:
Posta un commento