Ieri ho vissuto un’esperienza
singolare. È accaduto che un grosso sciame di api invadesse il mio giardino.
Dopo avere danzato e ronzato a lungo nell’etere, i pacifici invasori hanno
deciso di costruire il favo sul ramo di un acero. Ho chiamato un apicoltore
esperto che ha catturato le api senza colpo ferire e le ha trasferite in
un’arnia. Continueranno a vivere e produrre miele in un ambiente protetto. L’episodio,
comune a fine primavera, ha rafforzato la mia simpatia per le api, che non ho
mai temuto e delle quali ammiro le virtù. Quali siano queste virtù è noto;
l’ape è alacre e diligente, coraggiosa e organizzata. Sono creature degne di stima
e ammirarle è piacevole e istruttivo. Dice bene uno dei Proverbi biblici (6,8): “Va a vedere l’ape e impara cos’è la
laboriosità”. Perciò voglio condividere con i miei lettori alcune sensazioni e riflessioni.
In primis, la “danza delle api” è uno spettacolo emozionante, che cattura l’attenzione. Osservandola non
ho potuto fare a meno di pensare che i semicerchi e le vibrazioni delle diverse
migliaia di api riunitesi nel mio giardino non fossero casuali. Confesso che
dapprima mi sono venuti in mente i cartoni animati della serie L’ape Maya che facevano squittire le mie
figlie quando erano piccole. Poi, mi sono ricordato che di questa danza
sorprendente si occupò Karl Ritter von Frisch, il padre della moderna
fisiologia comparata. Nell’opera Nel
mondo delle api, Frisch rivela che la danza di questi insetti è
comunicativa; si tratta, in effetti, del linguaggio animale più studiato. Ho
cercato di immaginare cosa si dicessero le api che accompagnavano la vecchia
ape regina in un esodo che si sarebbe concluso solo con la costruzione di un
nuovo favo. Naturalmente non ci sono riuscito ma sono rimasto colpito dalle
peripezie acrobatiche dello sciame, caotiche sono in apparenza. E come sempre
accade quando qualcosa mi stuzzica l’immaginazione, ho aperto i cassettini
della memoria. Beh, è uscito fuori uno “sciame” di ricordi e spunti. Intanto,
ho pensato che all’ape avrei dovuto dedicare un pezzo. Detto, fatto. In effetti,
l’ape ha ispirato filosofi, poeti e scrittori, alimentato miti e simbologie.
Nell’antico Egitto, era il simbolo regale dell’anima, di natura solare. Si
credeva fosse nata dalle lacrime del dio Ra cadute sulla terra. Anche i celti,
riconoscendo la saggezza e l’immortalità dell’anima, consideravano le api
creature nobili originarie del Paradiso. I greci pensavano fossero i messaggeri
degli dei e chiamavano “Api” le sacerdotesse dei Misteri eleusini e di Efeso.
Ricordo che ai tempi del Liceo mi colpirono le parole con cui Virgilio, nel IV
libro delle Bucoliche, esalta le
virtù delle api, in particolare la castità e il fatto che siano depositarie di
una scheggia della divina intelligenza. Il mito di Orfeo e Euridice è uno dei
più belli della mitologia greca e la sorte degli sciami del pastore Aristeo,
che Orfeo distrugge, mi colpì. Come dimenticare, poi, che Platone fosse convinto
che le anime degli uomini sobri si reincarnano sotto forma di api? O che l’ape
sia uno degli emblemi di Cristo e San Bernardo di Chiaravalle la identifica con
lo Spirito Santo? È noto, infatti, che il Cristianesimo ha eletto l’ape simbolo
di divinità e resurrezione. La sacralità delle api è riconosciuta anche dal
divin poeta. Nel Canto XXI del Paradiso, Dante descrive il tripudio degli
angeli presenti nella Candida Rosa con una metafora apistica.
Potrei continuare
a lungo, ma non voglio tediare il lettore. Mi limiterò, dunque, a suggerire gli
aspetti sociali della comunità delle api, in particolare l’organizzazione
dell’alveare, che incantò Karl Marx. Chi volesse approfondire questo aspetto
dovrebbe leggere La democrazia della api
di Thomas D. Seeley, un libro che rimarca alcuni aspetti del mondo segreto
delle api, la “perfetta società” che vive in maniera collettiva e democratica
il momento della sciamatura, finalizzata alla riproduzione. La scelta della
nuova dimora della regina, infatti, mette in gioco abilità e interessi
associati alla sopravvivenza stessa dell’intero alveare. L’apicoltore che ho
conosciuto mi ha spiegato che una volta staccatosi dall’alveare-madre, lo
sciame si vota alla ricerca, inizialmente provvisoria, della nuova “reggia”. Ciò
comporta un processo di ricerca, discussione e decisioni basilari demandate
alle api esploratrici, la cui danza costituisce l’insieme di messaggi e informazioni
che porteranno alla scelta definitiva. In sostanza, le api agiscono come alcuni
neuroni del nostro cervello che assecondando l’istinto di sopravvivenza favoriscono
la scelta ottimale. Va da sé che le
analogie con la vita degli umani sono paradigmatiche. Nel XVIII secolo lo aveva
intuito il medico e filosofo olandese Bernard de Mandeville, la cui Favola delle api dovrebbe essere letta
nelle scuole italiane. Si tratta di un pometto satirico in cui la società e la
vita delle api servono come specchio a quella degli uomini. Per altro, il
legame fra le api e il genere umano non si limita alla fornitura di miele e
cera da parte delle prime. Molti conoscono la profezia di Einstein: “Se l’ape
scomparisse dalla terra, all’umanità resterebbero quattro anni di vita”. Non so
se Albert esagerava ma so che è in corso un’emergenza ecologica e che l’ape è
un indicatore della qualità dell’ambiente in cui viviamo. È un fatto
reale che la popolazione mondiale delle api sia in forte calo. Si tratta di una
moria che gli scienziati definiscono CCD (Colony Collapse Disorder) cioè
“Sindrome dello spopolamento degli alveari”. Dal 2006, milioni di api in molti
paesi del mondo muoiono per cause non sempre identificate, ma per lo più riconducibili
ai cambiamenti ambientali, ai mutamenti climatici, a vari patogeni, alle
radiazioni da telefoni cellulari o altri dispositivi creati dall’uomo e all’uso
dei fitofarmaci. Nel 2007, in Italia morì il 50% delle api e si persero 200.000
alveari. Le api rischiano di scomparire. Sarebbe un evento drammatico per
l’agricoltura giacché esse impollinano l’80% delle colture orto-frutticole e
sementiere più la gran parte delle specie vegetali spontanee evolute.
Pensiamoci, la prossima volta che ci imbattiamo in un’ape. Anziché guardare
questa sconosciuta con indifferenza o sopprimerla perché temiamo ci possa pungere,
apprezziamone la bellezza e le virtù. La piccola cara apis
mellifera ci suggerisce la via per essere più sereni. Come scrisse Trilussa, “c’è
un’ape che se posa / su un bottone de rosa / lo succhia e se ne va… / Tutto
sommato, la felicità / è una piccola cosa.
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